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La vita Italiana nel Risorgimento (1849-1861), parte II / Quarta serie – Storia e letteratura

L'OPERA DI CAVOUR

CONFERENZA DI EMILIO PINCHIA

Allorchè Tommaso Carlyle incominciava nel 1839 le sue celebri letture sugli Eroi, presentì la disputa che, colorandosi di scienza, si avvivò, ai nostri giorni, intorno al modo di essere dei grandi uomini, ricercandone con minuziosa indiscrezione le particolarità fisiologiche, ricostruendo, come si dice, l'ambiente entro il quale nacquero e si educarono, cercando di sorprendere il segreto delle esistenze meravigliose nelle funzioni dei nervi e del ventricolo.

Carlyle indovinava l'evoluzione di un pensiero scientifico tanto orgoglioso, che dalla conoscenza della materia organica ascende imperterrito ai misteri della psicologia.

Ancora l'ombra crucciata di Leopardi muove angoscioso lamento, perchè le ineffabili melanconie della sua anima innamorata e dolente, dalla profanazione invereconda, sono trasfigurate in psicosi epilettoide!

Diceva allora Tommaso Carlyle: «Mostrate ai nostri critici un grande uomo, un Lutero, per esempio; incomincieranno, come essi dicono, dallo spiegarlo; non lo ammireranno; ne prenderanno la misura e diranno che è un prodotto del tempo. »

Il tempo!

Ahimè, sappiamo di tempi che invocarono ad alte grida il loro grande uomo! Non vi era. La Provvidenza non l'aveva inviato; il tempo doveva sfasciarsi in confusione e ruina perchè egli, l'invocato, non voleva sopraggiungere.

Egli è nato nel 1810 a Torino, in grembo ad una famiglia di alta nobiltà; nelle vene gli scorre un po' del sangue di San Francesco di Sales. Da moltissimi anni, da secoli i suoi antenati servivano in campo ed a Corte; egli stesso era stato tenuto a battesimo da un cognato di Napoleone, del quale il padre era ciambellano. Trascorse i primi anni nella intimità di due zie profondamente legittimiste e ultramontane – era allora una parola di moda per designare i clericali – in mezzo ad una serie di congiunti infervorati in quei ripicchi delle restaurazioni, che, dopo il 1815, si ripagavano delle umiliazioni di venticinque anni.

Ebbene, fui da quel tempo, una di quelle zie, la duchessa di Clermont Tonnerre compiangeva e deplorava: «Le pauvre enfant, diceva del giovane Camillo, est entièrement absorbé par les révolutions.

»

Le pauvre enfant non voleva tornare indietro e, costretto alla milizia dalle tradizioni della schiatta, scelse il corpo del Genio, il meno militaresco, il meno aristocratico, ma il più studioso e serio.

Condotto a fare il paggio in Corte per diritto di sua nascita e per obbligo della sua condizione di cadetto, non tardava a buttar in aria quella che egli chiama, con poca reverenza, una livrea.

I novatori cominciano tutti ad un modo: si fanno ribelli. Ma sono codeste le ribellioni che costano di più. Non mutano le consuetudini, nè la compagnia: ma quelle diventano irritanti, questa ostile; ne sono turbate le amicizie; l'ironia, la celia, il benigno compatimento lasciano trasparire l'irrisione. Niun conforto, se non la serenità della coscienza e la sincerità dell'animo: niuna che non sappia di diffidenza e di canzonatura. Camillo di Cavour, frugolo, irrequieto baldanzoso, esuberante, vivacemente eccitato dagli spettacoli di un mondo che spezza i ceppi e tenta vie nuove; avido di vita e tumultuanti nel suo capo idee, ambizioni, propositi, esce un bel giorno in una profezia: